Shimenawa
Sacri Intrecci tra noi e le Divinità

Scritto da Matteo Rizzi -

Le shimenawa, visibili all’ingresso dei santuari shintoisti, annodate ai pilastri dei torii e sospese sotto le tettoie degli edifici di culto e sugli altari, appaiono come silenziose guardiane della sacralità. Le vediamo anche abbracciare maestosi alberi centenari, cingere grandi rocce dalle forme particolari, valorizzare con la loro elegante presenza cascate ed elementi naturali ritenuti dimora di divinità, i kami. Queste corde di paglia sapientemente intrecciate non rappresentano semplici ornamenti; sono corde sacre che marcano i confini tra il nostro mondo e quello divino. Fungono da barriera protettiva, impedendo l'accesso agli spiriti impuri e alle influenze negative, e ci invitano a cogliere la presenza delle divinità.

Origini

Le spiegazioni sulle origini della shimenawa sono diverse e soggette a varie interpretazioni. Quella più conosciuta riguarda la leggenda della grotta celeste Ama no Iwato, narrata nel Kojiki(Un racconto di antichi eventi,712 d.C.) e nel Nihon Shoki (Annali del Giappone, ultimato nel 720 d.C.). Secondo la leggenda, quando la Dea del Sole Amaterasu uscì dalla "rocciosa stanza del cielo"1 in cui si era nascosta e il mondo ritrovò finalmente la luce, una corda chiamata shirikume-nawa venne tesa all'ingresso per impedirle di farvi ritorno.

Un’altra interpretazione suggerisce un legame con il culto del riso (inasaku shinkō) che ebbe origine nel periodo Yayoi (400-300 a.C. – 250-300 d.C.). È probabile che, sin dagli inizi della sua coltivazione, si sia tramandata la credenza che il riso fosse una pianta sacra nei cui chicchi risiedesse una forza mistica e vitale. L'idea che il regno ultraterreno Tokoyo e il cielo fossero mondi sacri, e che lo spirito del riso potesse spostarsi liberamente tra questi mondi e il nostro, era con ogni probabilità una delle principali credenze religiose dell’epoca Yayoi2. La presenza dello spirito del riso (inadama o inatama)3 nella pianta e nella spiga carica dei preziosi chicchi, e del kami delle risaie (tanokami) che scende la primavera dalle montagne e protegge il ciclo della risicultura fino al raccolto, conferiscono di riflesso anche una “sacralità” alla paglia utilizzata per realizzare le shimenawa. Inoltre, la corda con gli elementi che la accompagnano -shide e shimenoko di cui tratteremo dettagliatamente più avanti- simboleggiano rispettivamente le nuvole, i fulmini4 e la pioggia. La sua forma, che ricorda due serpenti avvinghiati, è anch’essa associata al forte auspicio di ottenere raccolti fecondi. Esiste indubbiamente una profonda connessione tra shimenawa e mondo agricolo. L'artigianato della paglia è stato a lungo un'occupazione invernale popolare per i contadini, e le tecniche tramandate dai tempi antichi sono ancora oggi utilizzate per la produzione di queste corde rituali.

Un’altra spiegazione sostiene che siano gli ideogrammi 注連縄, con cui si scrive la parola shimenawa, a rivelarne l’origine. Una provenienza che travalicherebbe i confini giapponesi. I primi due kanji 注連, che insieme si possono leggere anche «chūren», in cinese indicano una pratica tradizionale un tempo diffusa: quella di stendere una corda all’ingresso delle case dopo la morte di una persona per impedire che lo spirito del defunto tornasse nell’abitazione. Poiché questa corda, similmente alla shimenawa giapponese, svolgeva una funzione di barriera sacra, si ritiene che le sue origini possano essere collegate a tale tradizione cinese5.

Scrittura

È interessante notare come la parola shimenawa possa essere scritta in diversi modi. È un aspetto che sembra quasi fare da preludio alla grande varietà di tipologie e forme che queste corde sacre possono assumere: 注連縄, 七五三縄, 一五三縄, 標縄, 締縄, 〆縄, しめ縄. Notiamo come l'unico ideogramma comune in tutte le varianti è quello finale, 縄 (nawa), che significa "corda". Generalmente «shimenawa» si scrive 注連縄, mentre 七五三縄 e 一五三縄 (che contengono gli ideogrammi dei numeri 1, 3, 5 e 7) si riferiscono al numero di segmenti di paglia che pendono dalla corda, i waradare. I caratteri 標, 締e il simbolo 〆 si ritiene siano stati assegnati in base alla fonetica e al significato (標 = segno, simbolo di distinzione, indicatore; 締 = legare, stringere). Tuttavia, la scrittura più semplice, priva di ambiguità di pronuncia e che comprende idealmente tutte le varianti è しめ縄, in cui la prima parte «shime» è scritta in hiragana e «nawa» con il kanji.

Shide e shimenoko

I due elementi che accompagnano quasi sempre la corda sacra sono chiamati shide e shimenoko.

Shide (scritto 紙垂 o 四手) sono le caratteristiche strisce di carta bianca piegate a zigzag e tagliate secondo schemi precisi, che in questo contesto rappresentano la forma stilizzata del fulmine, il cui bagliore scaccia gli spiriti maligni, e indicano che ci troviamo in presenza di un luogo sacro e puro6.

Esistono tre principali stili di piegatura (Yoshida-ryū, Shirakawa-ryū, Ise-ryū), utilizzati in base alla regione e ai santuari. In passato si realizzavano con carta ottenuta dalla canapa; successivamente sono stati impiegati materiali come la fibra estratta dalla corteccia di kōzo, il “gelso della carta”, che veniva cotta a vapore e sbiancata, o la carta giapponese washi. Oggi si realizzano con la prestigiosa carta Mino-washi prodotta a Mino7, la carta di riso hanshi, ma anche con carta comune.

Gli shimenoko (しめの子, 〆の子), chiamati anche fusa (房), sono nappe decorative realizzate in paglia di riso o di canapa. Vengono attaccati tra gli intrecci della corda, a distanze regolari tra uno shide e l’altro. Le forme e le dimensioni variano a seconda delle regioni, dei santuari e della tipologia di shimenawa: dai più semplici, composti da pochi fili di paglia, a versioni più elaborate con la parte superiore intrecciata a corda, una legatura mediana e un fiocco finale, ai più spettacolari come quelli conici di grandi dimensioni presenti nei santuari Izumo Taisha, considerati tra i più belli. Anche il loro numero può variare: spesso sono presenti in numeri dispari (3, 5, 7 o 9), ma esistono anche shimenawa senza shimenoko.

Le forme più comuni delle corde shimenawa sono quattro: maedare-jime, caratterizzata da uno spessore abbastanza sottile e uniforme, solitamente con fili di paglia pendenti (waradare) o come frange; tsutsumidō-jime (o kodō-jime), che ricorda la forma di un tamburo, con la parte centrale più spessa e le estremità più sottili; daikon-jime, in cui la corda, più corposa nella parte iniziale, si assottiglia gradualmente verso l’estremità, richiamando la forma di un ravanello daikon; e infine gobō-jime, che ricorda la forma allungata della radice di bardana.

La realizzazione artigianale di una shimenawa inizia con la selezione degli steli di paglia di riso, preferibilmente raccolti da piante ancora verdi, falciate prima che le spighe giungano a maturazione. Questa fase richiede tempo, poiché è fondamentale scegliere attentamente gli steli migliori per colore, lunghezza e dal diametro quasi uguale. Quelli selezionati vengono battuti con una mazza di legno per ammorbidire le fibre e riuniti in un fascio, legato saldamente a pochi centimetri dall'estremità inferiore più corposa.

A seconda del tipo di corda da creare, il fascio precedentemente legato alla base viene suddiviso in due parti uguali (per realizzare quelle più sottili come le maedare-jime) o tre parti uguali (per le altre forme). Quando si usano tre fasci, uno viene lasciato per l'avvolgimento finale, mentre con gli altri due si inizia l'intreccio. Durante l’operazione la paglia viene inumidita con acqua per ammorbidirla e per evitare lesioni alle mani.

Il processo di torsione e intreccio delle shimenawa deve inoltre seguire una direzione precisa: poiché sono corde sacre, vengono generalmente attorcigliate in senso sinistrorso, perciò sono dette hidari-nawa (dove hidari significa "sinistra"). Questo le distingue dalle altre corde migi-nawa (migi = "destra") che un tempo venivano invece intrecciate in senso destrorso e utilizzate per la produzione di oggetti o per il lavoro8.

Per ottenere maggiore spessore in determinati punti, come nel caso delle forme kodō-jime o in alcune varianti “a daikon”, durante l’intreccio si aggiungono altri steli o piccoli mazzetti legati che servono da anima. Infine, seguendo la stessa procedura, la paglia del terzo fascio viene prima attorcigliata su se stessa per formare una corda, poi avvolta sulle due precedenti.

Nella foto sotto vediamo la shimenawa che unisce i due maestosi alberi della canfora “Marito e Moglie” presso il vecchio santuario di Owase, nella prefettura di Mie. Si stima che questi alberi sacri, dalla circonferenza di circa 10 metri, abbiano oltre mille anni. Nel 1937 sono stati dichiarati “Monumenti Naturali” della prefettura. Fin dall'antichità, sono venerati per favorire l'armonia coniugale, la fertilità e i legami matrimoniali.

Nella foto sotto vediamo le due celebri formazioni rocciose conosciute come Meoto Iwa (letteralmente "Rocce Marito e Moglie"), situate di fronte al santuario Futami Okitama, lungo la costa di Futami, nella prefettura di Mie. Sono collegate da una grande shimenawa, costituita da più corde spesse 10 cm, lunghe 35 metri e del peso di 40 kg.

Nelle foto sotto vediamo, a sinistra, la roccia “Sazare-ishi” posta nel 2012 presso il Takeda jinja a Kōfu (Yamanashi) in occasione del 100° anniversario del santuario, cinta dalla shimenawa con shide in stile Yoshida. “[…] Sazare ishi no iwao to narite […]”. La parola "sazare-ishi" che compare nel testo dell'inno nazionale giapponese descrive l’immagine di piccole pietre e ciottoli che, accumulandosi nel corso di millenni, formano una grande roccia su cui cresce il muschio e, a destra, un altare domestico shintoista (kamidana) con una shimenawa di tipo maedare-jime.

Una tipologia particolarmente elaborata di shimenawa è rappresentata dalle kanjōnawa 勧請縄, utilizzate per invocare la protezione divina in un'area specifica9, presenti in varie forme fin dai periodi Kamakura (1185-1333) e Muromachi (1392-1568) e probabilmente diffuse in tutto il Paese nel medioevo giapponese (dal XII alla fine del XVI secolo) 10. Oggi, tuttavia, si trovano solo in aree limitate, soprattutto nella regione del Kansai e in particolare nella prefettura di Shiga.

Al centro di queste corde è appeso un emblema chiamato torikugurazu, spesso circolare con una croce, e ai suoi lati decorazioni realizzate con shide, corde di canapa, amuleti di vario genere, talvolta anche canne di bambù, rami e foglie di arbusti considerati sacri. Ogni kanjōnawa è unica e non esistono due esemplari uguali, poiché la loro forma e i peculiari dettagli vengono tramandati di generazione in generazione nelle diverse comunità. Queste corde che emanano un’aura di sacralità straordinaria, stese principalmente nei viali che portano ai templi e nelle aree rurali ai confini dei villaggi, hanno lo scopo di impedire l'ingresso di spiriti maligni e malattie, che si ritiene possano percorrere le strade, passare per gli incroci o risalire i corsi d'acqua. Perciò sono chiamate anche michikiri (道切り), che potremmo tradurre corde “taglia-strada” o “blocca-strada”. Se le shimenawa dei santuari delimitano l’area sacra per proteggere le divinità, le kanjōnawa agiscono anche come una barriera protettiva per gli abitanti.

Tra le più elaborate vi sono quelle presenti ai templi Gyōji, Niikawa e Naeta, tutte nella cittadina di Yasu, a pochi chilometri dal lago Biwa (prefettura di Shiga). Tra le più lunghe quelle di Inabuchi e Kayanomori, nella prefettura di Nara, località rinomate per le splendide risaie terrazzate. Qui, due differenti kanjōnawa lunghe circa 80 metri, vengono installate ogni anno: la corda maschile (ozuna) e quella femminile (mezuna), ciascuna con le rispettive simbologie, vengono sostituite durante il rito dello tsunakake e tese dal pendio fin sopra la strada e il fiume Asuka per proteggere i villaggi e favorire raccolti abbondanti.

Nella foto sotto vediamo Kanjōnawa al tempio Niikawa (Yasu). Composta dalla corda principale, su cui sono fissati 13 piccoli gohei (bastoni rituali con shide annessi), e da quattro grandi torikugurazu simili a bersagli, realizzati con fasce di bambù. Dalla corda principale pendono 17 corde minori che quasi sfiorano il terreno (3 passano attraverso ciascun torikugurazu, 3 tra l’uno e l’altro, e 2 alle estremità), adornate con rametti di sakaki, un albero sacro nello shintoismo.

Nella foto sotto vediamo il maestoso kanjōnawa sospeso lungo il viale d’accesso al Gyōji jinja, nella città di Yasu. Al centro si trova un peculiare torikugurazu che sembra rappresentare il sole, composto da 16 canne di bambù disposte a quattro a quattro in verticale, orizzontale e diagonale, con una targa di legno recante l’ideogramma 上 (alto, superiore). Dalla corda principale pendono sottili corde (dette konawa) organizzate a reticolato, ciascuna con shide fissati a ogni internodo e rami di quercia legati alle estremità inferiori. I gruppi di corde, dodici negli anni normali o tredici negli anni bisestili (come in questa foto), simboleggiano la protezione per tutti i mesi dell’anno.

Nella foto sotto vediamo la kanjōnawa situata accanto all’ingresso del Naeta jinja nel villaggio di Suhara (Yasu). Alla corda di forma kodō-jime, lunga circa 2 metri, è appeso centralmente il grande torikugurazu, realizzato con ramoscelli di cedro, che qui appaiono ormai rinsecchiti e diradati, lasciando intravedere la struttura in bambù a cui sono fissati. Le sei corde pendenti sono costituite da più cordicelle intrecciate, a cui sono attaccati shide e foglie di sakaki nella parte inferiore.

Possiamo considerare shimenawa anche i caratteristici chinowa (茅の輪). Chi ha visitato il Giappone in estate o a fine anno li avrà sicuramente notati all’ingresso dei templi, fissati ai torii o sorretti da strutture di bambù sul passaggio principale. Si tratta di grandi anelli, i più ampi con un diametro di circa 5 metri, realizzati intrecciando lunghi steli di erbe graminacee come l'Imperata cylindrica (chigaya), il falasco o il miscanto. Nella parte superiore è appesa una corda sacra, adornata con shide. In occasione dei riti di purificazione -solitamente il 30 giugno per il rito nagoshi no harae estivo e il 30 o 31 dicembre per quello della grande purificazione di fine anno toshikoshi no ōharae- vengono attraversati tre volte seguendo un preciso percorso a “figura di 8” intervallato da inchini che prende il nome di chinowa kuguri (non c’è possibilità di sbagliare, a fianco è presente l’immancabile cartello con le indicazioni da seguire!). Negli ultimi anni in alcuni templi, come ad esempio al Chichibu Imamiya jinja (prefettura di Saitama), viene predisposto anche un piccolo chinowa riservato agli animali da compagnia.

Nelle foto sotto vediamo, a sinistra, un Chinowa realizzato con rigogliosa erba graminacea "chigaya" presso l'Ōyamato Jinja, nella città di Tenri (Nara), durante il rito di purificazione estiva Nagoshi no Harae. A destra un Chinowa collocato di fronte al padiglione principale del Fushimi Inari Taisha di Kyoto in occasione del Nagoshi no Harae del 30 giugno, un rito purificatorio per liberarsi dai peccati e dalle impurità accumulate dall'inizio dell'anno.

Shimekazari – decorazioni di Capodanno

Anche gli ornamenti tradizionali appesi agli ingressi delle case giapponesi durante il periodo di Capodanno sono talvolta chiamati shimenawa, poiché la corda intrecciata ne costituisce l’elemento base. Tuttavia è più appropriato parlare di shimekazari (しめ飾り), dove «kazari» significa decorazione / ornamento.

Questi elementi rappresentano un segno di riconoscimento che identifica la casa come un luogo purificato, pronto per accogliere il toshigami, il dio del nuovo anno11. Il toshigami è un kami della categoria dei visitatori periodici che, secondo la credenza, scende dalle montagne all'alba del primo giorno dell'anno per visitare le case, portando con sé fortuna, prosperità e protezione12.

La varietà dishimekazari è talmente ampia che sarebbe difficile elencarli e descriverli tutti. Ogni regione del Giappone ha sviluppato versioni peculiari, arricchite di dettagli che riflettono la storia e le tradizioni locali. Ad esempio, l’hōshō-kazari (宝章飾り) tipico dell'isola di Hokkaidō è spesso di grandi dimensioni (può raggiungere anche un metro di lunghezza) a simboleggiare la vastità delle pianure; inoltre si distingue per l'uso di un'erba graminacea diversa dalla paglia di riso, una tradizione legata alla difficoltà di coltivare il riso nelle fredde terre di Hokkaidō. Nella regione del Kantō sono diffusi il tama-kazari (玉飾り) e il wa-kazari (輪飾り), o wa-jime (輪じめ), che, come suggeriscono gli ideogrammi, presentano una caratteristica forma circolare. In tutta l'isola di Kyūshū, in particolare nella prefettura di Fukuoka, è comune vedere shimekazari a forma di gru, ma basta passare da una città all’altra per osservarne diverse versioni con decorazioni completamente differenti13.

Nella regione di Ise-Shima, nel sud-est della prefettura di Mie, è consuetudine appenderne all'ingresso delle case uno tradizionale chiamato shōmon 笑門 (lett.: “porta del sorriso” o “porta sorridente”). Prendiamolo come modello per descrivere i diversi elementi che lo compongono, alcuni dei quali ricorrenti anche nelle altre decorazioni.

Questo shimekazari è riccamente decorato con elementi simbolici e provvisto di un amuleto protettivo in legno recante la scritta «Shōmon» o «Casa dei discendenti di Somin Shōrai», con riferimento al racconto leggendario di Somin Shōrai14. La corda, piegata in modo da ricordare la forma di un gambero, e i waradare, disposti a forma di ventaglio, sono realizzati in paglia di riso. Gli shide sono in stile Ise. Il frutto daidai (arancia amara), anche per l’omofonia con la parola daidai (代々) che significa “da generazione a generazione”, simboleggia l’abbondanza e la prosperità nel corso delle generazioni. Il rametto di asebi (andromeda giapponese), le cui foglie sono tossiche, e quello pungente di agrifoglio tengono lontano gli spiriti maligni dall’abitazione. Le foglie di yuzuriha (Daphniphyllum macropodum) sono scelte poiché questa pianta perde le foglie vecchie solo dopo che sono cresciute quelle nuove, simboleggiando il padre che non muore prima che il figlio sia diventato adulto, rappresentando così il passaggio generazionale e l’orgoglio delle generazioni. Infine, è presente il ramo di felce urajiro (Gleichenia japonica) perché il colore bianco della parte posteriore delle foglie simboleggia la purezza d’animo.

Secondo la tradizione, le decorazioni dovrebbero essere preferibilmente esposte il 28 dicembre, poiché il numero 8 è associato al concetto giapponese di suehirogari, di prosperità e felicità duratura. Il giorno 29 è considerato infausto, poiché il numero 9 (ku) richiama la parola kurushii, che significa "dolore, sofferenza, difficoltà".

L'ultima celebrazione di inizio anno è il tradizionale festival del fuoco, chiamato sagichō o dondoyaki, che si tiene all'esterno dei santuari intorno al 15 gennaio. Durante questa festività, vengono bruciati vecchi shimekazari, shimenawa, amuleti, talismani e altri oggetti provenienti dai kamidana (gli altari domestici)15. In alcune località della prefettura di Hyōgo, questo rito si svolge invece la notte di capodanno ed è chiamato toshikoshi-tondo.

Le grandi shimenawa

Vi sono poi corde sacre di dimensioni impressionanti, opere d’intreccio monumentali che, osservate dal basso, possono quasi disorientare (e far tremare le gambe al pensiero delle tonnellate di peso sospese sopra le nostre teste). Sono le cosiddette ōshimenawa大しめ縄 (grandi shimenawa).

Dove si trovano? Attualmente la più grande, lunga ben 16 metri e pesante 6 tonnellate, è quella posta all’ingresso dell’edificio di culto del tempio Hitachinokuni Izumo Taisha16, nella prefettura di Ibaraki. La seconda, 13,6 metri di lunghezza per 5,2 tonnellate di peso, sull’edificio Kagura-den17 nel complesso del rinomato santuario di Izumo Taisha di Shimane dedicato al dio Ōkuninushi-no-mikoto. La terza che si trova al tempio di Miyajidake a Fukuoka, è lunga 11 metri, ha un diametro di 2,6 metri e pesa 3 tonnellate.

Oltre alle dimensioni, c’è qualcosa che le accomuna? La risposta è sì. C'è un filo (o meglio, un lungo stelo di paglia, potremmo dire) che lega queste tre a molte altre shimenawa presenti in tutto il Giappone e non solo18: la fiorente tradizione artigianale della loro realizzazione, custodita in modo particolare dalla comunità di Iinan.

In questo paese della prefettura di Shimane, non lontano da Izumo, “Terra degli Dei e dei Miti”, è presente lo Ohshimenawa Sousaku-kan, un laboratorio che si occupa della loro realizzazione e che si dedica alla trasmissione della cultura tradizionale legata alla loro produzione alle future generazioni. Qui prendono forma le enormi shimenawa, come quella del Kagura-den, alla cui produzione –dal trapianto delle piantine di riso per ottenere la paglia fino all'allestimento finale– hanno partecipato a vario titolo quasi 800 persone19. In altri casi, come per il tempio Miyajidake menzionato in precedenza, gli esperti di Iinan supervisionano direttamente la costruzione in loco.

Nella foto sotto vediamo un maestro artigiano impegnato nella laboriosa legatura della stuoia di rivestimento, detta “komo”. La paglia utilizzata, lunga e di grande bellezza estetica, proviene da piante di riso della varietà Akahomochi, raccolta anticipatamente. La paglia utilizzata per le grandi ōshimenawa non proviene da un’unica varietà di riso, ma viene selezionata in base agli elementi e alle caratteristiche specifiche richieste per ciascuno. I grandi conici shimenoko sono qui realizzati con paglia della varietà Kameji, il cui nome deriva da Hirota Kameji (1840-1986), un agronomo di Izumo che dedicò la sua vita a sviluppare nuove varietà di riso per aiutare i contadini a contrastare le malattie responsabili dei raccolti scarsi. In questo contesto, la paglia Kameji assume il significativo ruolo di collegare le persone alla memoria del territorio e alle sue tradizioni.

Prendendo come esempio quella del Kagura-den nel santuario di Izumo Taisha (Shimane), ripercorriamo le varie fasi della sua realizzazione20, iniziando dalla selezione della materia prima: la paglia di riso. Le varietà moderne di riso, con steli più corti, rendono difficile l'intreccio, perciò a Iinan oggi si utilizzano le antiche varietà Akōmochi o Kameji che possono crescere fino a raggiungere l’altezza d’uomo, specificatamente coltivate per le shimenawa. L’escursione termica di cui beneficiano i campi dell’altopiano, favorisce la crescita di piante di riso robuste e flessibili. Inoltre, raccogliendole ancora verdi ad agosto, prima della maturazione delle spighe, si evita che gli steli si pieghino o danneggino.

È necessario anche selezionare un albero di cipresso hinoki idoneo, dal quale ricavare una trave sufficientemente robusta per sostenere il peso della grande shimenawa. Dopo una cerimonia di purificazione e una preghiera, viene abbattuto un cipresso centenario con le caratteristiche richieste: un tronco dritto per almeno 20 metri e un diametro minimo di 65 centimetri.

Per l’anima centrale, si utilizza in parte anche la paglia di riso essiccata delle varietà più disponibili, ad esempio la Koshihikari. Il processo inizia con la creazione di lunghi fasci dal diametro di circa 30 centimetri. Poi un fascio contenente una corda di canapa spessa 4 cm viene posto al centro e gli altri via via sovrapposti e avvolti attorno ad esso. Ognuno viene stretto saldamente all’altro, aumentando progressivamente lo spessore fino a ottenere due enormi cordoni con un diametro di 1,5 metri e una lunghezza di 16 metri. Per realizzarne uno solo serve oltre un mese di lavoro!

Per preparare la stuoia di rivestimento (komo), destinata ad avvolgere i due grandi cordoni, si seleziona paglia di qualità, caratterizzata da lucentezza e un colore brillante. La paglia viene poi intrecciata e legata secondo una particolare tecnica tramandata da generazioni, seguendo le linee progettuali disegnate su un telone posto a terra. Terminata la lavorazione la stuoia ottenuta avrà dimensioni notevoli: 16 metri di lunghezza e circa 3,6 di larghezza.

Nella foto sotto vediamo una panoramica del laboratorio dello Ohshimenawa Sousaku-kan (Centro Creazione Grandi Shimenawa). A sinistra, un maestro artigiano lavora alla realizzazione del komo. A destra, altri due artigiani si dedicano alla legatura dell’anima di uno dei due enormi cordoni. Per la parte dell’anima interna, "naka-shin", si utilizza paglia di varietà Koshihikari e Akahomochi, ideale per la sua durezza e ottima come materiale di supporto. Sotto, una ragazza lavora alla creazione di piccoli shimekazari.

La fase successiva è quella del komogake, ovvero l’applicazione della stuoia intrecciata alle due enormi anime delle corde realizzate in precedenza. In questa fase, con la collaborazione di numerosi volontari della comunità di Iinan, vengono fatte rotolare lungo l'intero “tappeto di komo”, fino al loro completo avvolgimento.

Parallelamente, vengono realizzati anche gli altri elementi che completeranno la grande shimenawa: i tre shimenoko di forma conica che verranno fissati nell’ultima fase, pesano ciascuno circa 280 chili, sono alti 2,1 metri hanno un diametro di 1,8 metri. La paglia alla base, che sarà ben visibile sopra le teste dei visitatori del tempio, viene tagliata e pareggiata con molta attenzione. Questi elementi influenzano non solo il carico, ma anche significativamente l’estetica e le armoniose proporzioni della shimenawa.

Le dodici corde decorative (kazarinawa), intrecciate e rifinite con cura, vengono installate per coprire le corde sottostanti che realmente fissano la shimenawa alla trave di supporto, migliorandone l’estetica complessiva. Pur avendo una funzione decorativa, queste corde di paglia sono robuste e hanno un diametro di ben 8 cm.

Quando tutti gli elementi che compongono la ōshimenawa sono finalmente completati, i due enormi cordoni vengono trasportati all’esterno del laboratorio per l'operazione cruciale di intreccio. Ognuno di essi pesa più di 1,7 tonnellate.

Le estremità delle due grandi corde vengono fissate a dei pilastri. Una di esse viene sollevata con l’ausilio di due gru, mentre l'altra viene spinta e fatta rotolare sotto per intrecciarle insieme. Questo processo viene ripetuto più volte; la forza richiesta è notevole poiché, man mano che si torcono, le corde diventano sempre più rigide. L'intera operazione richiede grande precisione, coordinazione e uno sforzo fisico collettivo in un’atmosfera di tensione, che, in un certo senso, potremmo paragonare a quella di un matsuri!

La grande shimenawa intrecciata viene fissata alla trave di hinoki con delle funi e sollevata da una gru. Solo a questo punto è possibile verificare che non presenti deformazioni e che la sua forma complessiva sia corretta. Successivamente, viene caricata su un rimorchio speciale e trasportata al santuario. Solitamente, gli shimenoko vengono applicati durante la fase di torsione e intreccio, ma in questi casi, data l'eccezionale grandezza e le difficoltà legate al trasporto, la complessa operazione deve essere eseguita direttamente sul posto.

Nella foto sotto, scattata il 17 luglio 2018 nello spiazzo adiacente al Kagura-den, all’interno del santuario di Izumo Taisha, vediamo come si sono svolte le operazioni di assemblaggio dei tre shimenoko mediante un sistema di ganci e funi. Sullo sfondo, la vecchia ōshimenawa, realizzata nel 2012, che per sei anni ha assolto la sua preziosa funzione.

La vecchia corda sacra viene rimossa e sostituita con la nuova. Gli shimenoko fissati e le corde decorative correttamente sistemate. Completato il lavoro che richiede un’intera giornata, viene celebrata una cerimonia durante la quale i sacerdoti del santuario applicano gli shide.

La vecchia ōshimenawa del Kagura-den di Izumo Taisha, sostituita nel 2018 dopo sei anni, è stata trasportata a Iinan e riposta in un luogo non specificato e inaccessibile dei boschi circostanti.

Nel corso degli anni la sua paglia si decomporrà. E così, come un ciclo eterno, la shimenawa si fonderà nuovamente con la terra, testimoniando il legame profondo tra uomo, natura e divino, un filo invisibile che continuerà a intrecciare storie di protezione e sacralità.

Thanks to:
Si ringrazia per la gentile collaborazione: Fukiko Uehara per le foto e il materiale, l'Ente del Turismo di Iinan (一般社団法人 飯南町観光協会), Il Centro Creazione Grandi Shimenawa di Iinan (飯南町大しめなわ創作館), Hidenori Yoshida dell'Associazione per la Protezione dei Beni Culturali della Prefettura di Shiga (公益財団法人滋賀県文化財保護協会).


Note

1. Paolo Villani (a cura di), Kojiki. Un racconto di antichi eventi, Marsilio, Venezia, 2006, cit., p. 47. ↩︎

2. Junkei Hirano, Nihon no kamigami: kodaijin no seishin sekai, Kodansha, 1982; pp. 61, 64. ↩︎

3. Spirito del riso (稲魂 inadama, inatama): sulla base di diverse fonti si ritiene che la divinità Uka-no-mitama rappresenti lo spirito del riso, in particolare del riso dopo il raccolto. Nel Nihon Shoki (Annali del Giappone, 720 d.C.) si afferma che i cibi (oshimono 粮) offerti nei rituali fossero chiamati “Itsu-no-ukanome”. Nel Wamyō ruijushō (lett. "Nomi giapponesi per cose, classificate e annotate"), il più antico dizionario giapponese ordinato per categorie semantiche, si spiega che la lettura per gli ideogrammi "spirito del riso" (稲魂) è Uke-no-mitama, popolarmente detto Uka-no-mitama. Nell’Engishiki (Rituali dell’era Engi, 901-922 d.C.) la figura della dea Yafune Toyouke-hime-no-mikoto è identificata con Toyouke-bime, e nella nota esplicativa riguardante la divinità si afferma che lei è lo spirito (mitama) del riso, altresì conosciuta come Uka-no-mitama. Da queste descrizioni si deduce come la forza vitale presente nel cibo e lo spirito del riso fossero spesso associati a figure femminili. In seguito le divinità del cibo sono state sincretizzate e identificate con Inari Ōkami. Vedi: Ken Mitsuhashi, Nyoninkei Inari shinzō no keifu; Shintō oyobi Shintōshi 55/56, Kokugakuin Daigaku Shintō shigakkai, 2000 e il sito https://kojiki.kokugakuin.ac.jp/shinmei/ukanomitamanokami . ↩︎

4. «Kaminari no ooi toshi wa hōsaku ni naru» (lett.: Un anno con molti fulmini porta buoni raccolti). L’antica credenza giapponese secondo cui lampi e fulmini fossero collegati all'abbondanza dei raccolti risicoli trova oggi una base scientifica. Circa il 10% dell'azoto fissato, elemento importante per la crescita delle colture, è prodotto dall'azione dei fulmini durante i temporali; gli ossidi di azoto generati si dissolvono nella pioggia che ricadendo fertilizza il terreno. In giapponese il termine "kaminari" (fulmine) si scrive con l’ideogramma 雷, che raffigura la pioggia 雨 che cade su una risaia 田. Originariamente, il carattere cinese rappresentava tre risaie, e in epoche ancora più antiche, si raffigurava con un pittogramma del fulmine stesso. Il simbolo della pioggia fu aggiunto in seguito, probabilmente perché il fulmine appare spesso accompagnato dalla pioggia. Inoltre, il fulmine è detto anche inazuma 稲妻 o inabikari 稲光 in cui compare l’ideogramma 稲 (ine, ina-) che indica la pianta del riso. ↩︎

5. Cfr.: Nobuo Kasahara, Shimenawa to Shimenawa (『注連縄と七五三縄』), Tohoku History Museum, nona sessione del ciclo di conferenze, 21/09/2019. ↩︎

6. Gli shide, quando applicati ad altri strumenti sacri come l’haraegushi (祓串), assumono una funzione purificatrice. Una piccola curiosità: poiché la loro forma a zigzag richiama quella dell'antico ideogramma 絲 ito (che significa “filo”), pare che sia ancora diffusa la tradizione di piegare gli shide pronunciando “ito, ito, ito”. ↩︎

7. Vedi: www.city.mino.gifu.jp/minogami . ↩︎

8. Vedi: https://orihasisyouten.jp/blog/hidarinawa . ↩︎

9. Il termine kanjō (勧請) ha due accezioni principali, entrambe legate al contesto religioso e cerimoniale. 1) Si riferisce al rito di preghiera per chiedere l’intervento o la presenza di divinità o un Buddha con lo scopo di ottenere protezione o oracoli. 2) Il trasferimento di una suddivisione dello spirito divino (bunrei 分霊) in un altro luogo (solitamente un santuario secondario). ↩︎

10. Grazie ai reperti archeologici, come quelli rinvenuti nei siti di Matsubara Naiko e Katayama vicino alla città di Hikone, ai rotoli dipinti (come l'Ippen Shōnin Eden) e ai documenti scritti (ad es. il Sangoku Denki), sappiamo che le prime kanjōnawa -sebbene con forme diverse- erano presenti fin dai periodi Kamakura e Muromachi. ↩︎

11. Toshigami: in alcune regioni si crede anche che le anime degli antenati si dirigano verso le montagne e, dopo sette generazioni, ritornino come spiriti ancestrali "sorei" (祖霊), a proteggere le case. . ↩︎

12. Cfr. Simone dalla Chiesa, Il tempo, una spirale di pietre preziose, Librerie CUEM, Milano,1997, p.39. ↩︎

13. Vedi: Sumako Mori, Shimekazari- takusan no kessaku-shū; Fukuinkan shoten, 2010. / Kotohogi, Yasuichirō Suzuki, Takehiro Ando, Shimekazari: Zōkei to sono gihō -Wara wo nai, Haru wo kotohogu; Seibundō Shinkōsha, 2019. ↩︎

14. Nella mitologia e nel folklore giapponese, Somin Shōrai era un uomo di umili origini che un giorno accolse un viaggiatore in cerca di un rifugio, ignaro del fatto che si trattasse del dio Mutō. Anni dopo, la divinità ritornò nella casa di Somin Shōrai e donò alla figlia una ghirlanda di miscanto, come ringraziamento per l’ospitalità che il padre ormai scomparso gli aveva riservato. Questa shimekazari si rivelò essere un prezioso talismano capace di proteggerla dall’imminente pestilenza che colpì invece tutti coloro che lo avevano allontanato. ↩︎

15. Quando non è possibile recarsi ai santuari, si possono smaltire piccole shimenawa e shimekazari, avendo l’accortezza di cospargerle di sale per purificarle e di riporle in sacchetti di carta. ↩︎

16. Eretto nel 1992 nella città di Kasama (Ibaraki), è stato direttamente legato al santuario Izumo Taisha di Izumo (prefettura di Shimane) fino al 2014, quando ha acquisito la piena autonomia di culto e il nome è stato cambiato in Hitachinokuni Izumo Taisha. ↩︎

17. Kagura-den (神楽殿): padiglione del santuario con palco rialzato utilizzato per l'esecuzione di musica e danze rituali sacre (kagura). ↩︎

18. Il Laboratorio di produzione Grandi Shimenawa (Ohshimenawa Sousaku-kan) di Iinan si è occupato anche della realizzazione della shimenawa per il tempio Izumo Taisha di Honolulu (isole Hawaii). ↩︎

19. Il dato è riferito alla realizzazione della shimenawa avvenuta tra maggio 2017 e luglio 2018. ↩︎

20. Vedi: Ohshimenawa Sousaku-kan et al., 島根県飯南町と大しめ縄 Shimane, Iinancho Ohshimenawa Guidebook, 2019 e il sito web www.ohshimenawa.com. ↩︎

Questo sito non utilizza tecniche per la profilazione, solo cookies tecnici o addon di terze parti.
Per maggiori dettagli consultate la Privacy Policy.