L’immagine della donna nello Shintō

Scritto da Giulia Zucconi -

Rielaborazione dell’articolo “Women’s Images in Shintō”, terzo classificato alla “Shintō Essay Competition 2003” organizzata da The International Shintō Foundation.

La principessa Toyotama, figlia del signore del mare, ormai prossima al parto, si mise a preparare sulla battigia una capanna dove partorire, ma la costruzione non era ancora completa quando fu costretta a entrarci, dicendo al marito Howori, principe dei cieli:

Gli esseri di altri mondi al momento del parto assumono le sembianze originarie. Farò così anche io adesso, perciò non guardarmi, ti prego”. Egli, tuttavia, incuriosito dalle parole di lei, spiò il parto e la vide trasformata in un coccodrillo enorme che strisciava e si contorceva. Terrorizzato se la diede a gambe e sua altezza la principessa Toyotama, accortasi di essere stata spiata, abbandonò per la vergogna il neonato sul posto.

In questo passo del Kojiki, testo scritto nel 712 che ci offre una preziosa panoramica della narrazione mitica shintoista, il parto viene descritto come un evento estraneo alla sfera umana e la donna viene presentata come intrinsecamente selvaggia.

All’inizio del racconto incontriamo un’altra figura femminile, la dea Izanami, che dopo aver descritto il proprio corpo in termini di mancanza (“Sarebbe perfetto. Se solo non avesse una parte incompiuta, non del tutto chiusa”) dà prova di eccessiva intraprendenza rivolgendosi per prima, lei femmina, all’amato Izanagi (”Che bel ragazzo!”), facendosi così rimproverare per la sua audacia.

Tuttavia si appartarono e fecero sì che ella figliasse un bambino, ma deforme, che abbandonarono alla corrente in un battello di giunchi, e un’isola flaccida, che neppure riconobbero come propria prole.

La coppia sale quindi in cielo per capire quale sia stato l’errore e gli dèi confermano che la donna non avrebbe dovuto parlare per prima. Capiamo quindi che il ruolo dell’uomo nel rapporto sessuale deve essere attivo e l’intraprendenza di Izanami ha infranto una regola sociale, venendo punita di conseguenza; la donna deve assecondare i desideri dell’uomo, non può esternare i propri.

Seguendo le raccomandazioni divine, Izanami riesce a generare le isole del Giappone e un grande numero di kami, ma muore dando alla luce il dio del fuoco. Izanagi è disperato per la perdita della compagna e si reca nel regno dei morti, Yomi no kuni, per riportarla tra i viventi. Quando la trova, lei gli dice che forse potrà tornare, ma soltanto se Izanagi non la guarderà nel frattempo. Tuttavia, l’uomo, annoiato per l’attesa, prova a sbirciare e, vedendo l’immagine orrifica di un cadavere in decomposizione brulicante di vermi, scappa disgustato. Izanami lo rincorre, ma viene bloccata da un grande masso che Izanagi ha provveduto a collocare all’ingresso della caverna. Rompono quindi la loro unione e lui purifica ritualmente il suo corpo, contaminato dall’impurità del cadavere.

Analizzando questi miti risulta evidente che l’impurità (穢れ kegare) è una componente intrinseca dei corpi delle donne. Il sangue versato durante le mestruazioni e il parto è causa di 赤不浄 akafujō (impurità rossa). Le naturali funzioni femminili sono dunque considerate anomale, pericolose. È importante notare che il cadavere, considerato nello Shintō come la massima impurità, 黒不浄 kurofujō (impurità nera), è quello di una donna; il femminile è quindi associato alla contaminazione più estrema, mentre il maschile alla purezza ottenuta tramite l’abluzione rituale (禊 misogi).

Questa credenza, che si è rafforzata con l’avvento del buddismo, si riflette nelle diverse restrizioni che sono state a lungo imposte alle donne nella vita quotidiana. Tradizionalmente, era loro vietato l’accesso ad alcune montagne - compreso il monte Fuji - e ad altri luoghi sacri; questa pratica di esclusione è chiamata女人結界 nyonin kekkai o 女人禁制 nyonin kinsei. (immagine sotto)

Nel 1987 Namihira Emiko scrive che «Ancora oggi in certi villaggi di montagna o di pescatori e presso siti di costruzione come tunnel, dighe e ferrovie sotterranee, si crede che se una donna entra in un luogo dove gli uomini stanno lavorando, avverrà un incidente. La ragione è che 山の神 Yama no kami (la dea della montagna) e 船霊 Funadama (la dea guardiana delle imbarcazioni), che proteggono i lavoratori dal pericolo, sono gelose delle donne. Altre volte la ragione viene attribuita all’impurità femminile».

Fino alla fine del XIX secolo, nelle campagne era consuetudine per le donne spostarsi in un’apposita casupola o, più recentemente, in una stanza isolata, durante i periodi delle mestruazioni o in seguito al parto. Tale costruzione assumeva diversi nomi a seconda della località, come koya, bunya, betsuya, tsukigoya, taya, himaya, kariya, yogore. Le donne passavano lì la notte e vi consumavano i pasti, per evitare che l’impurità contagiasse i familiari. Questa abitudine variava un po’ in base alle regioni, ma in generale la contaminazione era ritenuta diffondersi se le donne avevano contatti anche indiretti con il fuoco, il cibo, il sake o l’acqua. Per questa ragione dovevano cucinare separatamente i loro pasti ed era loro proibito avvicinarsi al focolare familiare e al pozzo. Segawa Kiyoko afferma che sull’isola di Mishima «dopo la cerimonia preliminare della purificazione del focolare per la grande festa, tutte le persone impure del villaggio – quelle che avevano recentemente partorito, che avevano il ciclo o che avevano subito una morte recente nella famiglia – venivano spostate in una capanna temporanea, nella quale rimanevano fino alla fine delle celebrazioni». Ogni oggetto che si trovava nella casupola era considerato contaminato. Quando il periodo di isolamento era finito, le donne si purificavano lavando se stesse e i propri vestiti.

Anche se questa specifica pratica è estinta, l’idea che le donne siano intrinsecamente impure sembra essere ancora presente nella società, cosa che di tanto in tanto scatena accesi dibattiti.

La governatrice di Osaka Ōta Fusae nel 2000 chiese più volte di poter consegnare un trofeo a un lottatore di Sumō sul dohyō, come fanno abitualmente i governatori, ma le venne negato il permesso.

Nel 2018 il sindaco di Maizuru collassò a terra nel mezzo di un discorso durante un incontro di Sumō. Diverse persone salirono sul dohyō, tra cui una donna che cominciò a fargli un massaggio cardiaco. Dall’altoparlante si sentì l’annuncio «女性は土俵から降りてください (Le donne scendano dalla zona di combattimento per favore!)».

Naoko Takemaru spiega che in alcuni santuari è tuttora proibito passare sotto i torii durante le mestruazioni o entro un mese dal parto; aggiunge che, in base ad alcune testimonianze, alle miko si richiede talvolta l’assunzione di ormoni finalizzati al controllo del loro ciclo mestruale, perché non contaminino i riti sacri.

La purificazione di Izanagi genera diversi kami di grande importanza per la società giapponese, tra cui Amaterasu, dea del Sole venerata come capostipite della famiglia imperiale e suo fratello Susanowo, divinità centrale per il clan di Izumo. Queste divinità hanno origine soltanto dalla figura maschile, non dal rapporto sessuale. La cultura è quindi creata dall’uomo, mentre la donna è fortemente e irreversibilmente legata alla natura e ai suoi aspetti negativi; infatti Izanami non tornerà più in vita e diventerà la dea dello Yomi no kuni.

”Mio caro, amato mio” disse la maestosa Izanami “se così dunque stanno le cose, ogni giorno soffocherò a morte mille della folta siepe di uomini in carne e ossa del tuo mondo”.

”Mia cara, amata mia” disse grave il maestoso Izanagi “tu farai questo, ma io farò che ogni giorno sorgano millecinquecento capanne per il parto”.

Ecco ancora la contrapposizione delle due immagini: morte contro vita. A chi si chiede il motivo di questo dualismo può venire in soccorso Mary Douglas: «Le idee relative alla separazione, alla purezza, alla demarcazione e alla punizione della trasgressione hanno la funzione di imporre la sistematizzazione a un’esperienza intrinsecamente disordinata. È solo esagerando le differenze tra unito e separato, sopra e sotto, maschio e femmina, con e contro, che si crea una sembianza di ordine».

Altri kami hanno caratterizzazioni di genere: 田の神Ta no kami, il dio delle risaie, simboleggia la forza positiva e generatrice di vita della natura, che, controllata dall’uomo, produce cibo; è rappresentato da una forma fallica.

山の神Yama no kami, la dea della montagna, ha invece caratteristiche femminili; nella mente giapponese la montagna simboleggia la forza indomabile della natura selvaggia, è il regno del divino e degli spiriti dei morti.

Nei casi che ho presentato finora le donne sono associate a immagini di sessualità sterile e di poteri incontrollati, invece la figura di天照 Amaterasu, la dea del Sole, contrasta fortemente con le caratteristiche sopra elencate ed è sempre associata a qualità positive, come esemplificato dal seguente passaggio:

Susanowo gridò: “Ho vinto!” ed esultando per la vittoria ruppe gli argini dei campi che Amaterasu grande sovrana e sacra curava e ne ostruì i canali. Poi defecò nella sala ove ella osservava i riti della somma libagione. Amaterasu […] non gli riproverò queste malefatte, si sforzò anzi di giustificarlo. […] Egli tuttavia, a dispetto delle accomodanti parole di lei, invece di farla finita con le cattive azioni, le accentuò e, mentre Amaterasu con fare da grande sacerdotessa presiedeva, nella sala dei vestimenti cerimoniali, alla tessitura dei regali abiti sacri, perforò il tetto dell’edificio e, scuoiato in malo modo un celestiale cavallo maculato, lo scaraventò all’interno.

Gli atti compiuti da Susanowo, come rompere le divisioni tra i filari di riso, spargere escrementi e scorticare al contrario un animale gettandolo poi nella stanza sacra sono percepite nello Shintō come terribili impurità. Mentre Susanowo si comporta in modo così distruttivo, Amaterasu è impegnata in atti sociali e sacri di grande significato. L’importanza di questa divinità è stata spesso considerata la prova dell’esistenza di un’antica società matriarcale guidata da una sciamana, che riuniva in sé il potere secolare e il potere religioso; prendeva decisioni politiche in seguito a una possessione divina attraverso cui apprendeva la volontà degli dèi. In un passaggio delle cronache Wei troviamo una descrizione di questa sovrana:

Avevano una donna come sovrano. Il suo nome era Pimiko. Si occupava di magia e sortilegi, ammaliando le persone. Di età matura, non aveva marito. Aveva un fratello minore che la assisteva nella gestione del paese. Divenuta sovrana, in pochi la vedevano. Aveva mille donne come attendenti ma soltanto un uomo, che le portava cibo e bevande e fungeva da portavoce.

Il tema del matriarcato è tuttavia ancora lontano dalla chiarezza; è sicuro che con l’avvento del buddismo e la crescente influenza cinese la posizione della donna nella società ne risentì e questo si rifletté anche nei suoi ruoli religiosi.


Bibliografia

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H. Kobayashi, The Miko and The Itako: The Role of Women in Contemporary Shinto Ritual, Senior Capstone Project, Vassar College, 2013

E. Namihira, Pollution in The Folk Belief System, «Current Anthropology», Vol. 28, No. 4, 1987

M. Raveri, Itinerari nel Sacro, Venezia, Cafoscarina, 1984

N. Takemaru, Women in the Language and Society of Japan: The Linguistic Roots of Bias, Jefferson, North Carolina, Mc Farland and company, Inc., 2010

P. Villani, (a cura di), Kojiki, Venezia, Marsilio, 2006

T. Yoshida, The feminine in Japanese Folk Religion: Polluted or Divine? In E. Ben-Ari, B. Moeran, J. Valentine (a cura di), Unwrapping Japan: Society and Culture in Antropological Perspective, Honolulu, University of Hawaii Press, 1991

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