Seguendo le orme della scimmia
Un piccolo itinerario al Museo d’Arte Orientale di Venezia

Scritto da Linda Rosin -

Alla domanda su quali siano gli animali che più assomigliano all’essere umano prendendo in considerazione aspetto e comportamento, probabilmente tra le prime risposte ci sono i primati. Nella cultura giapponese la scimmia (saru) a seconda del periodo storico incarna differenti ruoli: elemento mediatore tra la sfera divina e il mondo umano, custode della buona salute dei cavalli, creatura che impersona i comportamenti negativi degli esseri umani e per questo, dunque, monito a comportarsi rettamente soprattutto in fiabe e racconti, essere astuto capace di ingannare per perseguire il proprio vantaggio.

Tutte queste sfaccettature attribuite alla scimmia si possono cogliere visivamente attraverso alcune delle opere esposte al Museo d’Arte Orientale di Venezia. La maggior parte dei manufatti che formano la collezione del museo è frutto del viaggio intrapreso tra il 1887 e il 1889 da Enrico di Borbone conte di Bardi, dalla moglie Adelgonda di Braganza e da un piccolo seguito. Dopo alterne vicende, negli anni Venti del Novecento tali opere vengono collocate nelle sale all’ultimo piano di Ca’ Pesaro dove tuttora sono esposte e conservate. Qui il visitatore ha l’opportunità di osservare su molteplici esempi per ciascuna tipologia di manufatti, diversi soggetti e motivi decorativi. In questo modo, la stessa pianta o il medesimo animale si ritrovano man mano lungo il percorso di visita delle sale, come in un gioco di specchi.

Questo piccolo itinerario dedicato alla scimmia inizia in sala IV, nelle vetrine dove sono esposti alcuni esempi di accessori per la spada (kōdogu). Tra le differenti componenti (fuchi, kashira, kōgai, kozuka, menuki e tsuba) finemente decorate si può allenare la propria vista alla ricerca della guardia realizzata da Omori Teruhide (1730-1798) in shakudō (lega metallica dalla colorazione nero-violacea) nella seconda metà del XVIII secolo. Sullo tsuba prendono vita, grazie all’abilità dell’artista, sei dei dodici animali dello zodiaco sino-giapponese: tigre, drago, scimmia, cavallo, bue e topo. In particolare, sul recto della guardia, nella parte superiore spuntano tra le nuvole una tigre e un drago mentre combattono tra loro; in basso invece una scimmia strige tra le zampe una zucca dalla quale sembrano uscire due cavalli. Il primate così realizzato è forse un riferimento all’immortale taoista (sennin) Chōkarō e alla sua cavalcatura soprannaturale che esce da una zucca ed è capace di affrontare lunghi viaggi.

Altra opera in cui la scimmia incarna comportamenti simili a quelli dell’uomo è il kakejiku realizzato da Maki Sozan datato al XIX secolo ed esposto sempre in sala IV. Qui, raffigurati intenti a danzare, si ritrovano una rana, una scimmia e un cane, i quali non solo si muovono con movimenti umani, ma anche indossano abiti e usano oggetti proprio come fossero delle persone. La ranocchia, infatti, strige con la zampa un ventaglio decorato con gru e tartarughe dalla coda lunga; il cane invece indossa un abito sul quale è disegnato il gioiello (hōju) e impugna un sonaglio sacro (kagura suzu). Infine, al centro della composizione, la scimmia, con un abito decorato con pini e un copricapo (ken’ebōshi), regge un gohei con la zampa. Alcuni di questi accessori fanno riferimento a tradizioni popolari: ad esempio, ken’ebōshi, kagura suzu e ventaglio erano usati solitamente dall’esecutore della danza sanbasō; nel periodo Edo tale danza era anche impersonata da scimmie ammaestrate. Il gohei è invece un oggetto che allude forse alla figura dei shindōja, i quali, sempre nel periodo Edo, si recavano nelle case per purificarle.

Di altro genere è il kakejiku conservato in sala IX; il dipinto, eseguito da Mori Sosen (1747-1821) tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, raffigura alcuni primati nel loro ambiente naturale. Nella parte inferiore della composizione, in primo piano tre scimmie riposano vicino ad un corso d’acqua, mentre sopra di loro un altro piccolo gruppo si arrampica tra i rami fioriti di un ciliegio. I primati sono soggetti a cui Mori Sosen si interessa particolarmente e a tal proposito si racconta che il pittore avrebbe passato tre anni tra le montagne per osservarli.

Una grande attenzione ai dettagli e a un risultato il più possibile realistico si ritrova anche nella piccola scultura conservata nella vetrina 11 in sala IX, che ritrae un gruppo di tre scimmiette impegnate a giocare a carte. Infatti in questo okimono realizzato in avorio tra il XVII e il XIX secolo, si possono distinguere differenti particolari (nonostante le dimensioni contenute dell’opera) come le folte pellicce dei macachi, i disegni sulle carte da gioco e le venature del tavolo per simulare il legno. Le scimmie impersonano poi gestualità ed espressioni che ricordano perfettamente quelle dei giocatori umani.

Sempre nella stessa vetrina è conservata anche una coppia di contenitori in avorio con coperchio databili fra il XVII e il XIX secolo. In particolare, uno dei due presenta scolpiti in rilievo sulla superficie laterale gli animali dello zodiaco e ha come impugnatura per sollevare il coperchio una scimmia. Il primate vestito stringe con una zampa un frutto mentre l’altra viene pizzicata da un granchio. Questi dettagli potrebbero essere un’allusione alla fiaba che narra la battaglia tra la scimmia e il granchio. Sono diverse le versioni della storia, ma in tutte il primate riesce inizialmente a imbrogliare il crostaceo per poi, alla fine, essere punito a causa del suo comportamento.

Se in questa fiaba l’astuzia della scimmia è usata a discapito del prossimo, in un altro racconto la sua arguzia le permetterà invece di salvarsi la vita. Infatti, rimanendo in sala IX, nella vetrina 8 in cui sono esposte coppette per sakè (sakazuki) in lacca rossa e finemente decorate con polveri e lamine di metalli preziosi, si può osservare una sakazuki realizzata da Kajikawa Choki verso la seconda metà del XIX secolo. In quest’opera è raffigurata in primo piano una scimmia trasportata da una tartaruga; tale soggetto potrebbe essere un riferimento alla leggenda della medusa e la scimmia. La medusa, un tempo animale con ossa, guscio e zampe, voleva il fegato del primate, il quale però grazie alla sua furbizia riesce ad ingannare l’animale marino.

Ultima tappa di questo breve itinerario è un altro manufatto in lacca (realizzato in lacca nera e decorato con metalli preziosi), un vassoio conservato nella vetrina 12 in sala X. Nell’opera di Morimura Hōgi (1805-1862)* sono raffigurate sei scimmie indaffarate in diverse attività: due vicino ad una veste appesa un porta abito (ikō), due mentre spostano una composizione floreale e due intente a osservare alcune maschere dentro una scatola. Anche in questo caso i macachi, alcuni dei quali sono vestiti, assumono atteggiamenti molto umani.

Rappresentate in modo naturalistico o umanizzate, protagoniste di fiabe e leggende o semplici soggetti impegnati in qualche attività, le scimmie si ritrovano dunque in molte opere diverse tra loro. A voi però scoprirle tutte negli spazi del museo.


Bibliografia

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