Qualcuno li chiama i kokeshi, qualcun altro le kokeshi e qualcun altro ancora, tendenzialmente dispettoso, li chiama “birilli”, ma loro accettano serenamente tutti questi appellativi, sapendo bene, pur senza aver mai letto Shakespeare, che «ciò che chiamiamo rosa, anche con un altro nome, conserverebbe sempre il suo profumo». Queste «bambole» di legno, semplici, colorate a mano in una codificata ma pressoché infinita variazione di rappresentazioni formali, costituiscono uno degli esempi più singolari dell’artigianato povero nato nel nord est del Giappone, nella regione conosciuta come Tōhoku. Ancora relativamente ai margini dei circuiti turistici più affollati (se si esclude forse la baia di Matsushima con le sue 200 e più isole coperte di pini), il Tōhoku possiede una sua particolare bellezza, dove i paesaggi fatti di montagne boscose, torrenti e laghetti si incrociano con leggende di folletti e streghe, donne di neve, scimmie dispettose e divinità protettrici dei bachi da seta...