Approfondimenti - Temi Zen

Di seguito sono visualizzate le anteprime degli approfondimenti di articoli pubblicati su Pagine Zen. In alternativa è possibile consultare l'elenco sintetico di tutti gli approfondimenti pubblicati visitando questa pagina.

Kokeshi: Il Tōhoku fra tradizione e design

Recensione di Anna Lisa Somma -
Kokeshi: Il Tōhoku fra tradizione e design

A cura di Virginia Sica, Rossella Menegazzo, Carmen Covito, Scalpendi editore, 2020.

Lo sguardo aperto e ridente, le palpebre abbassate; le labbra che accennano un sorriso, velate dalla malinconia, chiuse a serrare parole di legno; l’espressione giocosa, criptica, quasi nostalgica; i corpi squadrati e severi, accarezzati dai colori, sgargianti… Innumerevoli sono le variazioni dei kokeshi, innumerevoli le ragioni per le quali sono popolari ormai in tutto il mondo. Merito della loro bellezza austera, talvolta quasi ruvida? O dell’essenzialità apparentemente bambinesca delle loro forme?

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Taiko Monogatari: Storie di costruzione

Scritto da Chiara Codetta Raiteri -
Taiko Monogatari

Il concerto sta per cominciare: in proscenio sei tamburi grandi, di oltre mezzo metro di diametro. Solo a guardarli un misto di esaltazione, timore, curiosità; in fondo al palco un gigantesco tamburo di oltre un metro. Che suono farà? I tamburi, la loro forma regolare, la lucentezza della lacca, delineano e dividono lo spazio, lo occupano modificandolo con un potere di incantamento che li avvicina all’opera d’arte. Non so nulla, non so del corpo scavato nel tronco di un albero, non so della fluidità e dell’energia corporea necessaria a far risuonare quella spessa pelle. Attendo trepidante di ascoltare il suono di quegli strumenti che non ho mai visto e che non assomigliano per nulla a quelli europei e mediorientali che conosco...

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Dalla necessità alla bellezza: un’indagine su “Mottainai” (seconda parte)

Scritto da Rossella Marangoni -
Dalla necessità alla bellezza

Una lampada il cui paralume è fatto con carta washi riutilizzata più volte e già scritta, uno shōji riparato con ritagli di carta a forma di fiore, oggetti trasportati con un quadrato di stoffa capace di sostituire qualsiasi borsa, il furoshiki, il manto di un abate o la veste di un monaco fatta di pezzi di tessuto cuciti insieme: cos’hanno in comune? All’origine di questi manufatti c’è il riutilizzo, l’assenza di sprechi, in una parola: mottainai.

Se nella prima parte di questa “indagine” attorno al concetto di mottainai mi ero soffermata sui presupposti di carattere spirituale della parsimonia in Giappone, ora vorrei concentrarmi su quelle che chiamo volentieri le radici pragmatiche di mottainai.

E dove individuarle se non nella vita dura e difficile delle comunità contadine nelle campagne giapponesi?

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Scorci di Kyōto: Tre opere inedite di Hōen nella collezione del Museo d'Arte Orientale di Venezia

Scritto da Francesca Storti -
Scorci di Kyōto

Il fulcro della ricca e pregiata collezione del Museo d’Arte Orientale di Venezia fu costituito circa centotrenta anni fa, durante il viaggio intorno al mondo intrapreso dal principe Enrico Carlo Luigi Giorgio di Borbone-Parma, conte di Bardi (Parma, 1851 – Mentone, 1905) tra il 16 settembre 1887 e il 15 dicembre 1889. Appena giunta in Europa, la collezione Borbone vantava circa 30˙000 pezzi di cui due terzi acquistati in Giappone, prova evidente di quanto il principe e la moglie Adelgonda di Braganza (1858–1946) fossero rimasti entrambi affascinati da quel Paese. A seguito di varie vicissitudini, una volta divenuta proprietà dello Stato italiano, la raccolta contava nel 1926 poco meno di 17˙400 oggetti, una quantità comunque troppo grande perché fosse possibile un’esposizione integrale nelle stanze al terzo piano di Ca’ Pesaro, tuttora sede del Museo.

Fra le tante pregevoli opere d’arte ancora mai mostrate al pubblico figura anche un gruppo di tre dipinti giapponesi del XIX secolo firmati "Hōen" e accomunati dallo stesso aspetto alquanto inusuale...

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Kuki Shūzō: Iki - o l’estetica della singolarità

Scritto da Laura Ricca -
Kuki Shūzō: Iki

Il nome di Kuki Shūzō è associato a un libricino singolare e inclassificabile, La struttura dell’iki; ma è indubbio che la figura del suo autore sia entrata dalla porta principale nella storia della filosofia occidentale grazie allo scritto di Heidegger Da un colloquio nell’ascolto del linguaggio, contenuto in In cammino verso il linguaggio (1954). Heidegger infatti per molti versi tocca qui l’apice della sua sconcertante “filologia”, tra-ducendo, letteralmente, il termine iki lungo uno di quei labirinti ermeneutici da cui una frase, un frammento o addirittura una singola parola, come in questo caso, escono completamente irriconoscibili, dopo il cammino a cui il filosofo li costringe. Tanto più in questo caso, trattandosi di un termine radicato in una lingua del tutto aliena, e sottoposto, in aggiunta...

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