Bagliori dorati
Lacche giapponesi del Museo d'Arte Orientale di Venezia
Scritto da Museo d'Arte Orientale di Venezia - Un luccicare d’oro accoglie il visitatore all’entrata della Sala X. Questa, interamente dedicata agli oggetti in lacca, mostra la bellezza della tecnica makie, la “pittura cosparsa” ottenuta con polvere e lamine metalliche, soprattutto oro, tipica del Giappone, dove è nata all’inizio del X secolo.
L’esposizione, rimasta pressoché inalterata dall’inaugurazione del 1928 e curata da Nino Barbantini, si basa sul principio di reiterazione delle tipologie: l’accumulo di oggetti e la ridondanza di stimoli visivi puntano a suscitare un forte effetto di sorpresa e incanto sul visitatore.
A lungo gli occidentali cercarono di scoprire il segreto della lavorazione della lacca, affascinati da come questi oggetti splendidi e preziosi potessero essere anche resistenti al calore e all’umidità, senza perdere la lucentezza, nonostante l’uso. La lacca, in giapponese urushi, si ricava dalla linfa di una pianta, la Rhus verniciflua, importata nell’isola alla metà del VI secolo, durante il periodo Asuka. La prima fase di lavorazione prevede l’estrazione della linfa tramite incisione del tronco durante la stagione estiva; successivamente viene scaldata fino a ebollizione e filtrata da impurità. Su un supporto di legno ben stagionato e accuratamente rinforzato con una tela di canapa o lino intrisa di un preparato di lacca e colla, si procede all’applicazione dell’urushi in strati sovrapposti; ciascuno dei quali deve asciugare lentamente ed essere levigato in modo perfetto prima che sia steso il successivo. Il primo, un composto di lacca grezza, acqua, argilla polverizzata e pasta di riso, fa da collegamento con il supporto; per il secondo si usano solitamente urushi nero di qualità inferiore e media. In quello finale può essere applicata la decorazione realizzata con l’aggiunta di polvere d’oro o d’argento cosparsa tramite cannucce di bambù, tessere ritagliate in lamine metalliche o intarsi di madreperla.
In sala X, nelle vetrine verticali, trovano posto oggetti tipici del corredo nuziale delle figlie dei signori feudali del periodo Edo (1603-1868): questi si fanno notare per la loro opulenza e fastosità, nonostante le leggi suntuarie emanate dagli shōgun proibissero l’eccessiva ostentazione di ricchezza. Le vetrine dalla 5 alla 10 sono dedicate alla scrittura: lo shodō (la via della calligrafia) era considerata una delle forme d’arte più importanti, insieme a poesia e pittura. Nella foto sottostante possiamo vedere un suzuribako (scatola da scrittura), vero fulcro dello studio, una delle poche in museo a contenere ancora tutti gli strumenti necessari alla scrittura: pennelli, punteruolo, taglierino, recipiente per l’acqua e suzuri (pietra da inchiostro).
Ad accompagnare il servizio non possono mancare la fumibako (scatola per lettere) e la ryōshibako (scatola porta cancelleria). La prima serviva a contenere le missive, portate a mano da un messaggero fidato; la risposta veniva immediatamente chiusa nel fumibako e prontamente riconsegnata al mittente. Tradizionalmente è l’accessorio associato agli innamorati, tanto che spesso veniva scambiato come pegno d’amore.
Il secondo contenitore era, invece, destinato a conservare in maniera ordinata strumenti da cancelleria. La fumibako e la ryōshibako presentano uno sfondo con il caratteristico effetto specchio-nero: una superficie nera lucida ottenuta con il rōiro, che prevede l’aggiunta di nero di fuliggine alla lacca. La decorazione dorata può essere hiramakie (piatta) o takamakie (a rilievo), in particolare per i dettagli dei rami o delle foglie.
Spesso il servizio era decorato con il medesimo motivo ornamentale: nel ryōshibako si vede l’associazione di pino, bambù e susino, piante dal significato beneaugurale. Derivante da un’antica tradizione della pittura cinese, trasmessa al Giappone durante il periodo Kamakura, il tema prende il nome di “tre amici dell’inverno”, saikan sanyū. Combinati rappresentano tre virtù etiche care ai letterati: nell'ordine una vita lunga e salda, una forza elegante e resiliente e una delicatezza combinata all’audacia.
Nel corredo non possono mancare oggetti associati alla cerimonia dell’incenso, in cui la preziosità delle rare e costose sostanze aromatiche viene evidenziata dall’associazione con la lacca dorata. La kasanekōgō a 4 scomparti sovrapposti, fornita di coperchio e piccola maniglia, che si può ammirare nella foto sottostante, è adornata da fenici in volo. Questo uccello mitologico, identificato dagli occidentali con il misterioso Uccello Rosso del Sud, fenghuang (in giapponese hō), era associato all’imperatrice, al lato femminile e al concetto di yin. Ancora adesso rimanda all’idea di matrimonio e prosperità coniugale.
Nelle vetrine orizzontali della sala, è possibile osservare numerose scatole di piccole dimensioni, dalle forme molto distinte: si parte da quelle quadrate o rettangolari, fino ad arrivare a quelle tonde o ovali. Si tratta di astucci da toeletta, ideati per ospitare cosmetici, profumi, balsami, pettini, spilloni e specchi. Le grandi scatole da toeletta dovevano contenere vasellame minuto e accessori necessari alla rasatura delle sopracciglia, alla pettinatura, alla preparazione e alla stesura del trucco. All’interno di esse venivano riposte in maniera ordinata e funzionale i singoli elementi.
Sulle scatoline prevalgono i motivi floreali o vegetali: crisantemi, peonie, camelie, rami di pino, ciliegio o bambù; non rappresentano unicamente una decorazione esteticamente piacevole, ma sono associati a un attributo, una stagione o un sentimento. A volte, vi sono invece riprodotti rilassanti paesaggi acquatici; in altri casi vi sono raffigurati mon, stemmi araldici. L'oggetto nella foto sottostante è decorato con tre petali di asarabacca, il mon della potente famiglia Tokugawa.
Nelle vetrine di centro sala scopriamo numerosi inrō da appendere alla cintura, in gran voga durante il periodo Edo: piccole scatoline per erbe medicinali, suddivise in scomparti chiusi ermeticamente. A queste si legavano, tramite una corda in seta passante sui canali laterali, l’ojime (la sferetta per stringere la corda) e il netsuke (il fermaglio dotato di foro che fa da bilanciere).
Finemente decorati, gli inrō presentano simboli stagionali, motivi decorativi derivati dai dipinti o temi legati alla tradizione letteraria. Una rondine intarsiata in madreperla vola tra lunghi rami di glicine applicati in porcellana, su sfondo hirame (superficie ricoperta di grani di polvere): entrambi annunciano la bella stagione, in particolare la tarda primavera. Il monte Fuji fa da sfondo a un idilliaco paesaggio agricolo, punteggiato da risaie, boschi e colline; su sfondo fundame (un fondo dorato uniforme e opaco) i diversi piani sono sottolineati dai cambi di spessore della lacca e abbondante uso del kirigane (ritagli di foglia dorata). Dalla Cina viene la storia del giovane Kikujido che, sfamandosi di crisantemi, diventa immortale: coerentemente è associato alla tecnica tsuishu, la lacca rossa intagliata.
Bibliografia
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